Michele Serra

Michele Serra e l’editoria: la coda lunga

Michele Serra dice cose sempre intelligenti, spesso convincenti, alcune volte sbagliate.

Mi rendo conto che dire che un giornalista così importante e famoso come Michele Serra sbagli è segno di arroganza da parte di un povero blogger marginale come me. Eppure quando Michele Serra parla di tecnologia, che lui non ama, sbanda, e ancor più sbanda quando parla di mercato e tecnologia, temi ai quali è ostile. È uscito da poco su Repubblica del 16 maggio un suo corsivo, brillante come al solito, riprodotto sui social nonostante la sua contrarietà, in cui il Nostro se la prende con Amazon e un suo dirigente (il cui nome non è stato colto e quindi non viene citato) che avrebbe detto che la funzione degli editori come selezionatori di quello che deve essere pubblicato nel tempo scomparirà, perché saranno direttamente gli utenti, i lettori organizzati in community, a scegliere quel che merita di essere pubblicato. Ecco, dice Serra, questo porterà (porterebbe) alla dittatura della maggioranza, e dunque “all’incubo delle minoranze, dei curiosi, degli irrequieti, degli innovatori. “ Chi pubblicherà non solo gli autori minori, si chiede Serra, ma anche “splendidi e sparuti libri di poesia”, e cita ad esempio il caso di Àlvaro Mutis (poeta latino-americano): “la community di riferimento del signor Amazon terrebbe in catalogo Àlvaro Mutis?”

Intanto possiamo verificare che sul sito di Amazon sono in commercio decine di libri del poeta, alcuni anche in formato Kindle, e dubito che nella migliore libreria ci sia la stessa disponibilità. E poi Serra dimentica la teoria della coda lunga, che proprio per i prodotti culturali è stata elaborata. Questa teoria, lo ricordiamo, ci dice che nell’economia del web, in cui non c’è un problema di presenza fisica dei prodotti e di immagazzinamento, conviene vendere i prodotti destinati a pubblici di nicchia piuttosto che al grande pubblico. Se è vero quello che dichiarano a Amazon, i cui dati sono tenuti segreti più che di quelli della CIA, si vendono più copie di testi di nicchia (complessivamente) che di best seller, più i tanti Mutis, dunque che i pochi Harry Potter (che vende tantissimo, ovviamente, ma meno dei tantissimi libri di nicchia).

Quindi non andiamo incontro, come teme Michele Serra, al trionfo del conformismo, ma anzi alla moltiplicazione delle opportunità. E, si sa, le comunità di nicchia, gli amanti dei tanti poeti sconosciuti, sono molto più affiatate, convinte, fedeli, dei blandi amatori dei romanzi di massa. Quindi, la preoccupazione che andremo incontro a un conformismo di massa editoriale, per cui domani saranno disponibili solo pochi best seller e nessun libro di qualità, non è vera. Secondo me e secondo Amazon che certo non ha bisogno della mia difesa, perché si difende da solo fin troppo bene.

 Le opportunità del self publishing

Il ragionamento non finisce qui, perché la rete offre una possibilità nuova e davvero grande a chi vuole farsi pubblicare e vuole trovarsi lo spazio per avere successo nelle comunità on line. La vecchia editoria rimpianta da Michele Serra ha saputo cogliere straordinarie occasioni, ha avuto coraggio e ha rischiato, qualche volta, su opere e autori assolutamente imprevedibili. Ma ha anche fatto errori clamorosi, rifiutando capolavori che solo in seguito, e grazie a misteriosi motivi, hanno trovato spazio. Ma, peggio, ha troppo spesso favorito gli amici degli amici, le conventicole dei soliti noti, i gruppi chiusi dei potenti. E come sa chiunque abbia inviato il suo capolavoro presunto agli editori senza conoscenze e raccomandazioni, i rifiuti sono fioccati, spesso con la motivazione che non c’è tempo per leggere i manoscritti. Per cui l’editoria mondiale, e quella italiana in particolare, si regge sugli amici e gli amici degli amici (o i padri degli amici): se non fai parte del giro il tuo libro non lo legge – anche solo per valutarlo – nessuno. La rete mette fine a questo filtro: pubblicare non costa nulla, e se si ha una bella comunità di appoggio, una grande pazienza, e una capacità di muoversi sui social, il libro può avere successo, e magari, grazie al successo, trovare un vero editore. Molti casi editoriali sono sbocciati così, non grazie alla capacità di entrare nel circolo di chi può, ma trovando sulla rete i fan. Per fare solo uno dei mille esempi possibili, il bel libro di fantascienza L’Uomo di Marte di Andy Weir è stato pubblicato dall’autore nel 2012, ha avuto successo e poi è stato comprato da un grande editore, e diventerà presto un film girato da Ridley Scott. Sicuro Michele Serra che con la vecchia editoria degli amici dei critici si sarebbe raggiunto questo obiettivo? E questo vale ancor più per i mille testi di nicchia che trovano i loro mille lettori solo perché c’è la rete, ci sono i social, ci sono le comunità.

I social e i gruppi chiusi

Tutti conosciamo i limiti dei social come produttori di senso e di consenso: troppo brevi e secchi i giudizi per produrre un pensiero articolato, troppo polemici i partecipanti, toppe occasioni di volgarità, di conformismo, troppi falsi. Ma bisogna davvero rimpiangere le conventicole di persone che si conoscono, che si scambiano favori, che frequentano gli stessi luoghi e gli stessi ambienti e che decidono le sorti dell’editoria? (o della politica, o della finanza)?

Certo c’è spazio ancora – e c’è bisogno – per gli aggregatori di contenuto, per chi cerca di dare organizzazione al disordine delle informazioni, per chi fa qualità professionale della comunicazione. Ma che gli aristocratici del sapere e della cultura si debbano far da parte non mi dispiace nemmeno un po’. E quindi, lo ripeto, questa volta Michele Serra il tuo bersaglio è sbagliato, te la devi prendere con la comunità dei pochi potenti, non dei tanti ignoranti che ci sono sulla rete, e che esprimono, perlomeno, vitalità e curiosità, non solo conformismo.

Che cosa ne pensi? Sei d’accordo con me o con Michele Serra?