Case study storytelling marketing etico

Storytelling e marketing etico: anche la Chiesa comunica

La Chiesa, la comunicazione, il marketing etico

Che la Chiesa cattolica sapesse comunicare lo abbiamo sempre saputo. Che comunicare oggi significhi –anche – fare marketing lo sappiamo ugualmente. Dunque la Chiesa cattolica deve fare marketing etico per raggiungere i suoi obiettivi, e infatti, esiste un marketing della Chiesa, e, seguendo i migliori trend, fa storytelling.

C’è una storia che racconta Benedetto Croce, una storia che parla di un gesuita che a Piazza del Mercato a Napoli, in pieno 600, e dunque durante la Controriforma, entra in conflitto con un pulcinella, che gli ruba il pubblico a cui stava predicando, e usando i suoi stessi mezzi – frizzi, lazzi e capriole – riconquista il pubblico. Dunque da sempre la Chiesa non solo comunica, ma utilizza i mezzi di comunicazione più efficaci, e dunque oggi  lo storytelling e il marketing etico. Un marketing cioè che ha un obiettivo morale, che punta a convincere per scopi benefici, ma pur sempre un marketing moderno ed efficace. Sto parlando della campagna per l’8 per mille, quella quota di tasse che si può devolvere alle chiese  e alle diverse organizzazioni che praticano una religione. La Chiesa cattolica fa la parte del leone in questa distribuzione di fondi (acquisisce l’82% complessivo delle somme versate) e per questo ha bisogno di sostenere la quota di adesioni volontarie. Ecco la campagna di spot televisivi “chiedilo a loro”, che ha anche un sito che appunto si chiama www.chiediloaloro.it.

 Chiedi a loro la storia

Abbiamo detto tante volte che per scrivere una storia bisogna partire dai valori, e qui ovviamente, la Chiesa gioca in casa, e tutta l’operazione è legata ai valori che si vogliono trasmettere: se non credi che la Chiesa aiuta gli altri, che serve al prossimo, “chiedi a loro”, verifica direttamente che cosa effettivamente fa chi, interno alla Chiesa,  è implicato nell’opera di assistenza ai più deboli. L’intento è sottile: il proposito della campagna è quello di confermare che effettivamente i soldi destinati alla Chiesa vadano a opere benefiche. Quindi la storia e la testimonianza diretta servono a smentire che i soldi servano ad altro, che la destinazione dei fondi sia gestita per altri scopi (il mantenimento della macchina burocratica, ad esempio). E per questo la storia è ideale, perché consente immedesimazione e passaparola.

Le storie di copertina  che si scaricano dal sito sono quelle viste in tv, costruite tutte su un cambiamento: si è partiti da una condizione e si è giunti a un risultato superando le difficoltà. Storie con un protagonista chiamato per nome, in cui il disagio, il dolore, la privazione sono riscattabili con l’aiuto concreto di qualcuno.  Belle storie, e bellissime realizzazioni. Lo stile non è quello del documentario, del reportage, ma quello del corto d’autore: bella fotografia, belle inquadrature, montaggio raffinato. L’obiettivo è dunque non di denunciare, ma di emozionare, e per questo si è scelta questa qualità dello stile.

 Quasi social

Ma sul sito c’è di più. C’è una sezione dedicata a  una serie di servizi fotografici realizzati da giovani fotografi, anche qui con l’impostazione della storia, e con una scelta stilistica di foto d’autore. E c’è il form per candidarsi alla realizzazione di nuovi servizi, possibilità offerta a giovani fotografi che studiano in qualche master. Dunque non esattamente una spinta verso il social, ma certo un modo per coinvolgere e per arricchire i contenuti. Ecco costruito un modello di marketing sociale. Il bisogno è chiaramente quello di servire, di sentirsi partecipi, di aiutare, di far nascere nuove situazioni come quelle raccontate nelle storie. E la storia è il modo migliore per coinvolgere e per far sentire partecipi. Nulla di meglio di una bella storia per coinvolgere in un progetto. Dai tempi del gesuita di Croce sono cambiate le tecniche, ma l’intento è sempre lo stesso.